Le truppe statunitensi nel dicembre 2011 lasciano l’Iraq [1] con profonde differenze dal momento in cui lo avevano invaso: se prima vi era un Governo centrale in via di sviluppo, ora sul suolo iracheno troviamo una serrata lotta fra fazioni, un Paese in fase di disgregazione politica e religiosa con un livello di vita di molto inferiore rispetto a pochi anni orsono.
Tale processo di “balcanizzazione” è fondamentale per gli Usa nel tentativo di mantenere il controllo di una zona così importante per l’accesso al cuore del continente eurasiatico (sappiamo di come tale obiettivo sia costante per la strategia angloamericana): troviamo soldati e basi americane in Kuwait, Bahrain, Qatar oltre che negli Emirati Arabi Uniti e in Arabia Saudita (fedeli partner economici degli Usa) e i rapporti con il Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) sono ottimi. Il carattere fallimentare della guerra contro Saddam Hussein e la crescente influenza iraniana, portano la strategia atlantica a rinforzare tali rapporti e, dove possibile, a creare “archi di crisi” e guerre intestine per evitare blocchi regionali autonomi dai propri interessi e dalla propria visione geopolitica.
Per quanto riguarda l’Iraq, ciò a cui la volontà statunitense tende, è la costruzione di uno Stato curdo indipendente, che fungerebbe da spina nel fianco allo stesso tempo per Iran, Siria e Turchia, nonché da testa di ponte per Washington nella regione, anche alla luce dei rapporti amichevoli fra curdi e Stati Uniti. L’attenzione che i media occidentali (soft power statunitense) tornano a dare alla questione curda non fa che confermare tale strategia, e gli scontri fra la fazione governativa sciita e quella sunnita, oltre a mettere in ginocchio ogni possibile convivenza unitaria, rende i rappresentanti curdi l’ago della bilancia gettando così solide basi per una prossima tentata indipendenza; non sarebbe la prima volta nella storia che una popolazione con vocazione nazionale (e in particolare proprio i curdi [2]), venga utilizzata dagli attori regionali e globali per mettere in atto strategie geopolitiche più ampie. A causa della posizione centrale della popolazione curda infatti, nella storia più volte tale causa è stata sposata da diverse parti, capaci di cambiare bruscamente obiettivi a seconda dei propri interessi: con la prima guerra mondiale, nella regione, possiamo osservare scontri fra Turchia, Russia e inglesi e già prima della fine del conflitto le potenze vincitrici si spartirono l’area, con Francia e Inghilterra a sud e la Russia zarista al nord. Con il Trattato di Sèvres del 1920 si delineò il progetto, a spese del decaduto impero ottomano, di un Kurdistan indipendente situato appunto sul suolo turco senza che questo potesse creare fastidi all’Iraq britannico e alla Siria francese, così da creare una zona cuscinetto fra Russia e Turchia (ed evitarne una forte alleanza), impedendo un’eventuale unità sul suolo continentale eurasiatico. Solo pochi anni dopo però, con il Trattato di Losanna, la Società delle Nazioni istituzionalizzò la spartizione dei curdi in cinque Stati, così da preservare gli interessi economici e geopolitici di Gran Bretagna e Francia (che porteranno al continuo del conflitto il quale sfocerà nella seconda guerra mondiale [3]); il dominio anglo-francese nell’area, la distruzione dell’impero ottomano a favore di una Turchia occidentalizzata, gli interessi nell’Iran “inglese” e la Siria “francese”, i nascenti interessi statunitensi (e la conseguente divisione dei proventi dell’Iraq Petroleum Co.) sono l’evidenza di come le strategie delle potenze avessero utilizzato la popolazione curda (che aveva vissuto con grande autonomia sotto gli imperi ottomano e persiano) per proseguire il “grande gioco” in Eurasia: oggi le promesse di autonomia espresse da Washington ricalcano da vicino quanto avvenne nei primi anni del 1900.
Un vigoroso moto di indipendenza non farebbe altro che scatenare una guerra regionale proprio con Iran, Siria e Turchia che al proprio interno vedono importanti minoranze curde; potrebbero quindi accendersi in questo contesto i temuti attacchi a Iran e Siria, tanto evocati da Israele, così da creare una situazione generale di guerra comune dalla Libia sino al Pakistan. L’importanza del territorio curdo risiede, inoltre, nelle rivendicazioni che questo fa su diverse aree ricche di petrolio ed è quindi un fattore in più nella strada della ricerca di autonomia; tanto che il Governo centrale ha aspramente criticato la Exxon Mobil (compagnia petrolifera ovviamente statunitense) per aver firmato, prima fra tutte le aziende, un accordo per l’esplorazione e lo sfruttamento delle risorse direttamente con il Governo curdo già nell’ottobre 2011. Nei fatti l’autonomia è già vera e propria indipendenza in vari settori, tanto che nel silenzio dei media il Kurdistan ha oggi un proprio esercito, un servizio di intelligence, un Parlamento, una Magistratura, un Governo e tiene regolarmente elezioni; quasi 20 Paesi hanno stretto relazioni diplomatiche con i curdi, fra questi anche la Turchia. Come ben sanno gli addetti ai lavori, interfacciarsi con lo Stato curdo è ormai una realtà e sono molti per esempio i programmi quadro banditi direttamente con queste istituzioni; inoltre rapporti economici con la regione conoscono un incremento costante e autonomo.
Gli atti di guerriglia e terrorismo dietro i quali, secondo diversi Stati, si celano proprio gruppi curdi (armati e mossi da lontano), evidenziano come tale contesto sia potenzialmente esplosivo e di sicuro matrice di futuri cambiamenti geopolitici. Sarà probabilmente questo, o meglio continuerà ad essere questo, uno degli scenari più caldi dei prossimi anni in quanto evidentemente in cima agli interessi di accerchiamento del cuore dell’Eurasia che sono da sempre la prerogativa angloamericana, con gli Stati Uniti che oggi si sono sostituiti alle potenze imperialiste Francia e Gran Bretagna. Il “grande gioco” continua.
*Matteo Pistilli è redattore di “Eurasia, rivista di studi geopolitici”.
Note:
1) Sul suolo rimarranno comunque migliaia di soldati e addestratori militari “atlantici”, nonché un numero indefinibile di mercenari (contractors).
2) Definire uno Stato curdo, anche semplicemente da un punto di vista geografico, è un’operazione politica: i curdi si dividono fra Turchia, Iran, Iraq, Georgia, Armenia. L’estensione geografica di tale spazio equivale a 500.000 km quadrati.
3)Altri esempi storici non mancano: anche l’Unione Sovietica promosse nel 1945 uno Stato curdo oppure, anni dopo, lo sforzo di Washington di evitare la stabilizzazione della situazione promuovendo gli scontri con l’Iran e il sostegno sempre Usa (che hanno sostituito la Gran Bretagna nell’occupazione dell’Iraq) a Saddam -in seguito incolpato delle violenze sulla popolazione curda, sebbene il Governo di Baghdad avesse concesso grandi gradi di autonomia ai Curdi- ci dice molto sulla natura di tali giochi di potere.